Marco Boato - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||
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Trento, 4 giugno 2011 Molti esponenti del centrodestra si sono meravigliati per la pronuncia dell’Ufficio centrale per i referendum presso la Corte di cassazione, che mercoledì 1° giugno ha confermato il referendum antinucleare, riformulandone il quesito in relazione al nuovo testo legislativo introdotto dal Governo con un colpo di mano nel «Decreto omnibus». È davvero una meraviglia mal riposta, perché la decisione della Cassazione era largamente prevedibile ed era stata prevista da chi conosce i meccanismi istituzionali e la giurisprudenza costituzionale in materia. Personalmente l’avevo fatto in modo esplicito il 28 aprile intervenendo sull’Adige, anche per smentire il clima che si era creato tra la popolazione a causa dell’indecente propaganda governativa e mediatica: «La legge è stata cambiata, il referendum antinucleare non si farà più…». Era palesemente un falso, sia perché comunque la decisione spettava alla Cassazione, sia perché la legge era stata cambiata in modo furbesco, aggirando il quesito referendario e rinviando semplicemente le decisioni di un anno. Al punto che, proprio il 26 aprile – anniversario della catastrofe nucleare di Chernobyl del 1986 – Berlusconi aveva tenuto una conferenza stampa col presidente francese Nicolas Sarkozy, riaffermando incautamente la volontà del governo italiano di rilanciare il nucleare appena passata l’emozione per la nuova catastrofe nucleare di Fukushima in Giappone. Il Presidente del consiglio è arrivato al punto di affermare che aveva ricevuto informazioni diverse sull’orientamento della Cassazione e che quindi, probabilmente, il giudizio era cambiato a causa dell’esito catastrofico dei ballottaggi. Una sorta di teoria del complotto. Personalmente avevo largamente previsto il giudizio della Cassazione un mese prima dei ballottaggi, che ovviamente non c’entrano assolutamente nulla. La sentenza della Corte costituzionale, che ha statuito l’impossibilità di aggirare la volontà referendaria con disposizioni legislative che non vadano nella direzione dei promotori del referendum, risale addirittura al 1978, cioè a 33 anni fa. Dunque, un «complotto» che viene da molto lontano… Quello che si può dire con soddisfazione - insieme al famoso mugnaio di Hegel – è che «c’è un giudice a Berlino», e cioè che i meccanismi di garanzia dello Stato di diritto hanno funzionato correttamente (anche a Roma), impedendo che «un furto con destrezza» (così l’avevo definito il 28 aprile su questo giornale) della volontà referendaria rimanesse senza sanzione e permettesse di ingannare tranquillamente i cittadini. Il ministro Romani, che ne era stato il principale artefice, se ne era rallegrato spudoratamente e ora altrettanto spudoratamente è rimasto basìto, blaterando commenti privi di senso, mentre non a caso la quasi totalità dei suoi colleghi è rimasta in silenzio e i più furbi hanno invitato a parlare dei referendum il meno possibile e a non pronunciarsi né per l’astensionismo né per il «No». Forse memori di quando Craxi e Bossi nel referendum elettorale del 1991 (esattamente vent’anni fa) invitarono la gente ad «andare al mare», mentre i cittadini andarono in massa a votare e determinarono l’inizio della fine della Prima Repubblica. Ora dunque il 12 e 13 giugno il popolo italiano ha una grande occasione di pronunciarsi non «per dare una spallata al Governo», ma su grandi questioni che riguardano il futuro dell’Italia: la questione energetica, la questione dell’acqua come bene pubblico e la questione della giustizia uguale per tutti. Uno dei principali esperti mondiali della questione energetica in rapporto al modello di sviluppo, Jeremy Rifkin, ha dichiarato nei giorni scorsi: «Non è solo un referendum sul nucleare, è un referendum sul futuro: sono in gioco la crescita economica e la sicurezza energetica. Io penso che gli italiani andranno a votare, perché non intendono lasciare il loro destino nelle mani di pochi oligopolisti e di una tecnologia in via di abbandono». Da molti anni non si presentava una occasione così straordinaria per il popolo italiano di poter incidere col proprio voto deliberante - e cioè col fondamentale strumento di democrazia diretta previsto dall’art. 75 della Costituzione – su temi tanto essenziali per la vita pubblica e per il futuro del nostro Paese, quali il nucleare e le alternative energetiche, l’acqua e la giustizia. Tanta è la forza di questo appuntamento referendario, da aver fatto sciogliere come neve al sole riserve e lentezze che si erano manifestate nella fase di raccolta delle firme (a cui ad esempio il Pd l’anno scorso non aveva partecipato). E tanta è l’attrazione, che questioni di tale rilievo esercitano trasversalmente sui cittadini, da indurre probabilmente anche molti elettori del centrodestra a partecipare e a pronunciarsi liberamente (lo si era già verificato nella fase di raccolta firme). I referendum, infatti, non chiamano in causa principalmente i partiti e le loro divisioni ideologiche, ma prima di tutto e soprattutto i cittadini come tali, nella loro responsabilità personale e come protagonisti diretti, in questo caso, della sovranità popolare sancita solennemente dal primo articolo della nostra carta costituzionale. «La sovranità appartiene al popolo…», ed è dunque bene che il popolo non se la faccia sottrarre e la eserciti pienamente e liberamente. Marco Boato
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